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LUISA ROSSI

Luisa Rossi insegna Geografia e Storia della geografia e delle esplorazioni all'Università di Parma. Si occupa anche di questioni ambientali, paesaggio e storia del territorio toscano e ligure. Tra le sue più recenti pubblicazioni: Dora d'Istria, I bagni in mare: una principessa europea alla scoperta della Riviera (Genova 1998) e Lo specchio del Golfo. Paesaggio e anima della provincia spezzina (La Spezia 2003).

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Perché le donne non fanno parte, al pari dei loro colleghi maschi, della società di esploratori, viaggiatori e geografi? Eppure non sono poche le donne esploratrici, viaggiatrici e geografe che in età moderna e contemporanea hanno dato il loro contributo alla rappresentazione del mondo. Alcune sono più note: Lady Montagu in viaggio a Costantinopoli nella prima metà del Settecento; Léonie d'Aunet, compagna di Victor Hugo, in viaggio verso Polo Nord e Lapponia; Dora d'Istria, colta europeista ante litteram. E ancora la tedesca Ida Pfeiffer, viaggiatrice "patentata" da A. Von Humboldt; Alexandra David-Néel, prima donna a entrare nel cerchio sacro della città di Lhasa. Ma assai vasta sarebbe la galleria delle figure inedite. Insieme ai nomi, ai volti, ai viaggi, Luisa Rossi ci restituisce una geografia diversa, un'altra mappa. Colorata e gioiosa come le tavole botaniche di Maria Sibylla Merian, i mappamondi di seta angloamericani, i diari e le lettere, i dipinti di autrici-viaggiatrici instancabili che illustrano il volume.



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Questo libro di Luisa Rossi, docente di "Storia della geografia e delle esplorazioni" all'Università di Parma, è la storia delle donne che dal XVI al XIX secolo si sono ribellate alla condizione che le emarginava dalla ricerca attiva, che impediva loro di muoversi liberamente, di conoscere terre e popoli lontani. È una ricerca sulla vita di quelle poche e poco conosciute donne che hanno potuto viaggiare e hanno lasciato traccia dei loro viaggi, che hanno cercato di partecipare alle attività delle Società geografiche, è una storia delle difficoltà che le donne hanno incontrato quando hanno voluto dedicarsi ad attività ritenute maschili, ed è anche una spiegazione del perché è nato il pregiudizio che le donne siano meno adatte degli uomini alla ricerca scientifica e più portate alle lettere. Infatti, è più facile emergere in campo letterario, per una persona naturalmente dotata, anche senza una profonda preparazione di base; in campo scientifico questa preparazione è quasi sempre necessaria e le donne, ancora all'inizio del XX secolo, in molti paesi erano escluse dalle università e anche dai licei.Ne è un esempio la famosa fisica austriaca, Lise Meitner (1878-1968) che deve conseguire la maturità da privatista perché al liceo erano ammessi solo maschi. Si può comunque laureare in fisica, ma quando cerca di lavorare all'Università di Berlino, nel laboratorio di chimica dove deve svolgere le sue ricerche le donne non sono ammesse. Grazie all'insistenza di un suo collaboratore può accedere al laboratorio a patto di entrare dalla porta di servizio e di non farsi mai vedere in giro per l'istituto: una condizione umiliante che riesce a sopportare per la sua passione per la ricerca.Altri esempi sono le astronome americane Henrietta Leavitt e Annie Cannon, i cui contributi all'astrofisica sono stati di grande importanza e fondamentali per lo sviluppo della disciplina; eppure sono state sempre trattate alla stregua di semplici calcolatrici, sottopagate, e non come vere e proprie ricercatrici. E venendo ai nostri giorni, va ricordato il caso dell'astrofisica Jocelyn Bell Burnell, scopritrice delle prime pulsar. È stato grazie alla sua ostinazione nel voler continuare la ricerca contro il parere dei suoi professori che fu confermata l'esistenza di questa nuova classe di sorgenti celesti, e che fu provato che si trattava di segnali radio reali e non di rumori spuri o di effetti strumentali. Come scrive la stessa Jocelyn Bell in un editoriale apparso su "Science" del 23 aprile 2004, la posizione di dottoranda e forse l'essere donna sono state le ragioni per cui il Nobel per questa scoperta fu assegnato ai suoi professori, Antony Hewish e Martin Ryle, mentre a lei non fu dedicata neppure una citazione. Oggi Jocelyn Bell è preside della facoltà di Scienze dell'Università di Bath in Gran Bretagna e presidente della Royal Astronomical Society. Nell'introduzione a questa Altra mappa l'autrice ripercorre la storia delle donne e la storia della geografia allo scopo di «scoprire se e da quando ci sia stato e quale caratteristiche abbia avuto il contributo delle donne alla conoscenza e rappresentazione degli spazi geografici». Malgrado le difficoltà poste dalla società e dal costume e la mancanza di preparazione specifica, molte donne si sono cimentate in viaggi anche avventurosi e in paesi lontani e ne hanno scritto: questo è stato a lungo l'unico modo che avevano per «fare geografia e produrre sapere geografico». Nella prima parte del libro vengono riportate le storie di viaggi, non solo reali, di donne di varia estrazione sociale in epoche situate fra il Cinquecento e l'Ottocento e la poco nota attività cartografica di alcune. La seconda parte, che si concentra sull'Ottocento, tratta dei vari tentativi delle donne di entrare in una società prevalentemente maschile come quella dei geografi. Significativo è l'episodio riportato dall'autrice a proposito dell'intervento di Alexander von Humboldt, membro fondatore della Société de Géographie di Parigi. Nella seduta del 5 gennaio 1822 su sua richiesta viene deciso che lo statuto non escluda le donne, e tale decisione viene messa a verbale. Ma quando sei mesi dopo esce il primo bollettino ufficiale su cui sono riportati i verbali delle sedute, l'intervento di Humboldt sull'ammissione delle donne è sparito. Nessuno se ne preoccupa finché un anno dopo un altro socio propone l'inserimento delle donne, proposta che viene accettata. Ma solo nel 1852 l'inglese Louisa Kerr è effettivamente accolta fra i membri anche se prima alcune donne erano state ammesse come ascoltatrici. Nei capitoli seguenti cominciano ad apparire nomi di donne che sono state non solo viaggiatrici ma esploratrici come Ida Pfeiffer, la letterata Léonie d'Aunet, la mistica Alexandra David-Néel, la studiosa Dora d'Istria che sognava un'Europa senza frontiere. Due soli i nomi di vere e proprie cultrici della geografia come scienza: l'inglese Mary Somerville, astronoma e geografa, e l'americana Ellen Semple, che fu la prima donna a ricoprire una cattedra di geografia. Comunque ancora nella prima metà del '900 le donne geografe sono ancora poco numerose e poco rappresentative, come dimostra la loro scarsa e marginale presenza nei i congressi dell'Unione Geografica Internazionale. Questo libro è importante perché viene a colmare una lacuna sui contributi delle donne alla geografia. Come osserva l'autrice, è strano che in opere che inquadrano il sapere geografico della cultura occidentale da Omero fino ad oggi e discutono di città globale e di città elettronica, non si faccia alcun cenno alle donne e alle loro ricerche. Uno studio «sui tempi e modi dell'entrata delle donne nella geografia italiana resta ancora da fare». Nel 1997 si è formato a livello ministeriale un gruppo di lavoro su «Culture delle differenze e studi delle donne nell'istituzione universitaria» e in seguito è stata istituita una Conferenza delle delegate d'Ateneo per le pari opportunità in cui sono state presenti e attive scienziate e ricercatrici di vari campi, ma senza la partecipazione delle geografe.


Margherita Hack


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