davide maretto - l'aquilone

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Davide Maretto

Io sono nato nel 1973, come diceva qualcuno molto tempo prima di me, in quella città dove ci sono due torri famose, una è storta, e dove ogni volta che scende la Madonna dal colle piove. Quindi ho nato in una Bologna assolata e poco tranquilla mentre Francis Ford Coppola a soli 34 anni prendeva l’Oscar per Il Padrino e mentre qui veniva sequestrato Ultimo tango a Parigi con la proposta di metterlo al rogo. E poi ci fu il colpo di stato in Cile, la guerra del Kippur e l’Austerity, ma io non ne ho colpa, io ho nato e dormivo. E per svegliarmi mi hanno dato una pacca sul culo. Questo è stato il mio benvenuto nel mondo. So solo che mio padre guadagnava centosettantamilalire al mese, che oggi corrisponderebbero più o meno a duemilaecinquecentoeuro. Andiam bene… Poi sono cresciuto di fianco alla città con le due torri famose, in un paese incastonato lì tra la pianura e le colline, senza piazza e senza fontana, spaccato in due da un fiume che lo attraversa nel mezzo, legato dallo spago di un vecchio ponte: Castrum Nasicae, che oggi sarebbe Castenaso. Le estati però le passavo all’ombra di un vulcano, un Mongibello che ha ricoperto non so quante volte la sua città. Lì, annaffiato dall’aroma dei gelsomini e dei fichi, incantato dai suoni di un dialetto mischiato all’arabo e al francese col quale i miei nonni si rivolgevano al mondo, ho imparato la forza della mescolanza e ad amare la Sicilia e le sue contraddizioni. Poi sono cresciuto ancora e il mio rapporto con le lettere da platonico stava per trasformarsi. Alle scuole medie non ho mai aperto il libro di antologia né quello di grammatica. Il piano studi della nostra professoressa prevedeva la lettura e l’assorbimento di testi teatrali e di romanzi da trattare e ridurre. Così ho cominciato a conoscere Cervantes, Brecht, Witkiewicz, Testori, Valentin, quella gente lì insomma.Al liceo mi sono perduto, colpa degli ormoni o forse perché ho cominciato a conoscere John Lennon, i Led Zeppelin, i Queen, i Police, i Guns, i Nirvana, gli AC DC quella gente lì insomma e ho scoperto la chitarra. Alla fine mi sono ritrovato ma solo dopo sette anni, due volte la seconda e due volte la quinta. Ancora non riesco a capire perché in italiano alternassi in pagella anni da otto e anni da quattro. Comunque continuavo a frequentare gli autori di storie e di parole.Poi sono cresciuto ancora e quando ho dovuto per forza di cose assemblare in qualche modo la tesi di Laurea, mi sono accorto che mettere le parole una dietro all’altra non era poi così difficile, più che altro era un divertimento. E allora ho provato a scrivere.Il primo romanzo l’ho imbalsamato tutto d’un fiato in diciotto giorni, dove ho raccontato nei minimi dettagli il viaggio in interrail attraverso l’Europa che ho fatto dopo l’esame di maturità. Non so se lo leggerete mai…Poi dovevo decidere che fare nella vita e per prolungare all’infinito lo status di studente mi sono buttato in un Master, ormai si fanno solo quelli. Master in Sceneggiatura all’Università di Firenze. Finito quello mi sono ritrovato a fare lo stage alla Endemol che in quel periodo produceva tra gli altri Vento di Ponente. Così ho collaborato per sei mesi con gli editor e gli sceneggiatori.Finita l’esperienza dopo una dose massiccia di steroidi per i muscoli della mia mente, dopo innumerevoli brainstorming in cui mi si sono aperte le sinusoidi dell’immaginazione ho scritto la mia prima sceneggiatura. L’ho mandata ad un concorso e poi…Poi ho vinto il B.A.Filmfestival col premio di Migliore sceneggiatura con caratterizzazione di genere per “Staremo a vedere”. Io non ci credevo, però alla premiazione in sala tre poltrone davanti alla mia c’era quel ragazzo col corpo da uomo che nell’anno in cui io ho nato si era portato a casa vari Oscar per Il Padrino. C’era Francis Ford proprio lì.Nella vita succedono un sacco di cose, alcuni dicono di non voltarsi mai, di non guardare quello che si è fatto perché se è poco o se non è quello che si voleva sono guai. Io non mi sono voltato però mi sono successe un sacco di cose, tutte in una volta, di quelle che non ti aspetteresti mai. E da quelle cose è nato Colpa delle Balene arancioni, il mio primo romanzo. Poi…poi aspetto ancora di crescere, nel frattempo scrivo…

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Vi siete mai chiesti cosa pensino gli autisti di autobus? Avete mai provato ad immaginare cosa si nasconda dietro quei volti stanchi, accondiscendenti, a volte stizziti? Colpa delle balene arancioni, primo romanzo di Davide Maretto, edito da Giraldi Editore, è un’istantanea sul mondo vista dagli occhi di un tranviere, l’autista delle “balene arancioni”.
Davide Maretto ha fatto il conducente di autobus per l’ATC di Bologna. Colpa delle balene arancioni ricostruisce i pezzi di una vita divisa tra le delusioni di un lavoro che ne logora le ambizioni, lo studio all’università, l’amore con le sue difficoltà. Poi ci sono i sogni, quelli veri, ingenui, frutto di un’improbabile vena artistica che spazia tra la musica e la scrittura cinematografica.
Davide è un ragazzo comune, uno dei tanti che lavorano per pagarsi gli studi universitari. Vive a Bologna e dalla cabina di comando della sua “balena” ci racconta la città con le sue verità popolari. Le abitudini della gente, le legende si accavallano nei ricordi perdendo la loro validità temporale, diventano storie assolute, chicce di una saggezza popolare dal sapore filosofico. E così, rimbalzando tra gli aneddoti che ruotano attorno alle Due torri, affiorano i trucchi di un mestiere che richiede impegno, sacrificio e pazienza, tanta pazienza

Descrizione del libro

Una responsabilità guidare queste balene. Al corso addestramento conducenti ci dicevano sempre di non avere mai fretta. Quando passate dagli incroci tenete sempre un piede sul freno, quando arrivate al semaforo che è verde, sempre un piede sul freno. In curva il piede sul freno. Forse è per questo che siamo sempre in ritardo. Sparsi nella memoria, frammenti di un puzzle da mettere a posto ritornano a galla, e si viene travolti da spezzoni di vita, vissuta tra il lavoro di tranviere all' ATC, lo studio all'università, un improbabile vena artistica che fatica a trovare il suo spazio e l'amore, quello importante.Una vita raccontata in prima persona, con un linguaggio al limite dell'errore sintattico, dal nostro protagonista sempre attento a quello che lo circonda e che pretende di giustificare con la sua filosofia narcatamente popolare.Un giro di valzer nella Bologna del nuovo millennio, un ritratto ad acquerello dei posti, delle situazioni, dei personaggi che ruotano attorno alle Torri della città...Una storia piena di passione. Uno specchio per tutti.Davide Maretto è nato a Bologna nel 1973. Ha fatto mille lavori e tra questi il conducente di autobus. Adora scrivere e dopo la laurea ha concluso un master in sceneggiatura che lo ha portato a collaborare come dialogista con RaiDue.Ha vinto nel 2005 con staremo a vedere il B.A. Film festival per la miglior sceneggiatura con caratterizzazione di genere. Colpa delle balene arancioni è il suo primo romanzo.


INCIPIT

Pensare che mi sono classificato al 512° posto con punti 67,81/108. E chi ci pensava più! Bè ma non m’hanno chiamato alla fine?… ci hanno messo due anni ma poi mi arriva la raccomandata “INVITO AD ASSUMERE SERVIZIO A TEMPO PARZIALE CON CONTRATTO DI FORMAZIONE E LAVORO”. Tutto scritto in maiuscolo e sottolineato. Una cosa importante. Prima però ho dovuto fare le visite, mica ti prendono e basta. Ti guardano la schiena, se hai i piedi piatti, ti fanno l’esame dell’udito, quello della vista e se non hai dieci decimi niente! Io ne ho dodici. Selezionati come alla Nasa, siamo dei superuomini noi autisti… due palle così a stare tutto il giorno in mezzo al traffico con dodici metri di passeggeri da portare a spasso. Ma quello è niente, è evitare le macchine senza sterzare bruscamente e senza frenare di colpo, stando attenti a non fare cadere le vecchiette che non si attaccano mai agli appositi sostegni. Mi è capitato mentre facevo la linea 11. Mi fermo come al solito in via Marconi, carico e scarico e mi avvio. A sessanta metri il nemico numero uno di noi autisti, il semaforo. Insomma, era verde e parto tranquillo. Scatta il rosso e freno dolcemente, io li cullo i miei passeggeri. Appena fermo sento dei passi pesanti, vi giuro non ho osato guardare, erano troppo pesanti. Quando ho avuto il coraggio di voltarmi ho visto svolazzare due tacchi marroni all’altezza dei miei occhi il tutto accompagnato da un forte grugnito. Più in basso tra l’apertura della porta e l’estintore, che per legge non deve mancare mai, ho intravisto una folta chioma grigiastra tutta sparpagliata. Ho dovuto sopprimere con cattiveria un forte conato di riso, avevo molte decine di occhi puntati addosso. Ho tirato con calma il freno a mano, ho messo le quattro frecce, mi sono alzato e ho detto ad alta voce: “Signora si è fatta male? Chiamo subito l’ambulanza.” Negli occhi dei passeggeri lo stupore si è subito trasformato in approvazione, so come gestire i miei spettatori specie in queste situazioni, ma la signora ha prontamente ribattuto: “No, no, per carità devo andare a Villa Erbosa da mia madre che l’hanno operata, semmai mi faccio vedere là.” “Sicura signora? Guardi che ci metto un secondo…”, per la verità un po’ mi ero spaventato, aveva tutta la fronte rossa e si toccava freneticamente un ginocchio. Ha tirato una botta spaventosa. “Sicura sicura, non si preoccupi”, allora mi sono rimesso in moto non appena è scattato il verde. E’ questo quello che voglio dire, cioè se salite sull’autobus tenetevi agli appositi sostegni altrimenti sembra che la colpa sia nostra, di noi autisti intendo. Infatti il pubblico era dalla mia, “Signora venga qui, si tenga stretta stavolta”, bisogna giocarseli bene i passeggeri, se te li metti contro sei perduto, l’ho imparato con l’esperienza. Quando ho firmato il contratto mi hanno dato una divisa, un tesserino di riconoscimento con su la mia foto, lo chiamano badge, io lo chiamo tesserino, e poi un altro tesserino da mettere quando sono al volante dove però non ci sono i miei dati personali ma solo il numero di matricola, è per la privacy dicono. Poi mi hanno presentato cinque istruttori, hanno tenuto due lezioni teoriche pallosissime alla Zucca e poi siamo andati nei vari depositi per vedere e per provare finalmente gli autobus. Ecco, i trucchi del mestiere li ho imparati lì. Gli istruttori che adesso sono miei colleghi, mi hanno insegnato a guidare tutti i tipi di mezzi che ci sono in deposito, ma soprattutto mi hanno insegnato la psicologia del passeggero. Senza di loro sarei un uomo perso. Alla fine del corso, che è durato venti giorni durante i quali abbiamo visto tutte le linee urbane ed extraurbane, con su il cartello addestramento conducenti, mi hanno assegnato al deposito Due Madonne, quelle che dico ogni volta che qualcuno mi taglia la strada o che penso quando mi viene in mente il giorno che ho fatto il concorso per entrare in azienda.



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